Via Pisana 22 50143 Firenze ITALY INTRODUZIONE Tuttavia una serie di ragioni hanno reso indispensabile effettuare nuove misurazioni:
Al di là di queste limitazioni il rilievo conservato in Sovrintendenza è stato indispensabile per la riproduzione della volta della cappella e del piccolo ciborio sovrastante il Sepolcro, elementi che non mi era possibile rilevare personalmente. Le misurazioni effettuate sono state finalizzate alla lettura dei rapporti proporzionali che improntano la costruzione. La campagna di rilievo che ha interessato il Sepolcro è stata condotta con metodi classici, ovvero manualmente con rotella e canna metrica, senza l'ausilio di apparecchiature elettroniche. La ricerca delle matrici proporzionali si conferma, anche alla luce del presente studio, materia insidiosa, che deve arrendersi alla convivenza con margini di errore più o meno evidenti [3], del resto giustificabili se si considera la genesi complessa che caratterizza qualsiasi manufatto e l'inevitabile rapporto dialettico tra le intenzioni del progettista, l'interpretazione del direttore dei lavori e l'effettivo agire delle maestranze. L'uso del computer, poi, mette ancor più a nudo, nella impietosa precisione grafica che caratterizza questo tipo di resa, discrepanze che il disegno manuale consente di occultare, tanto più se, come avviene in numerosi studi, la ricerca proporzionale si esplica su piccoli schemi compositivi. Da qui l'importanza di uno studio quasi filologico, che costituisce la seconda parte di questo saggio, delle motivazioni, estetiche e simboliche, che possono aver portato il progettista a preferire determinate costruzioni geometriche, nonché la necessità di ricondurre alle stesse matrici proporzionali l'intero intervento, evitando l'estrapolazione di singoli elementi o particolari viste, che, per quanto significative, sovente si prestano a interpretazioni discordanti, senza peraltro nulla aggiungere alla comprensione delle complesse istanze progettuali che sono alla base dell'architettura antica. IL SEPOLCRO RUCELLAI: LE PROPORZIONI E
IL SIMBOLISMO MUSICALE All'interno dell'aula si trova il sepolcro vero e proprio, realizzato con l'intenzione di riproporre la tipologia e le proporzioni del Santo Sepolcro di Gerusalemme [6]. Sull'analisi di questa micro-architettura si è incentrato il mio studio, essendo il sepolcro l'unico manufatto ad essere stato realizzato ex novo da Alberti, pur non tralasciando di analizzare i rapporti che esso instaura con la cappella che lo ospita e, soprattutto, le modificazioni apportate a quest'ultima dallo stesso Alberti. Il sacello, a pianta rettangolare con una piccola abside tergale, è interamente rivestito con elementi marmorei modulari, paraste a cui si alternano pannelli quadrati intarsiati con motivi circolari araldici e geometrici, ripetuti con un errore inferiore ai 2mm. Una volta completate le misurazioni è stato possibile mediare tale errore con semplici algoritmi matematici al fine di ottenere un modello del Sepolcro composto di elementi identici, pur mantenendo inalterate le dimensioni complessive dell'architettura. Il basamento è costituito da un basso zoccolo modanato, il coronamento da due serie di modanature, cui è interposta una fascia recante un'iscrizione in caratteri romani, sormontate da una teoria di gigli. Sulla copertura si trova un ciborio ligneo a cupola, forse copia relativamente recente di un originale perduto [7]. Sia sul ciborio che davanti ad ogni giglio sono presenti punte metalliche per l'infissione dei ceri che, nelle ricorrenze maggiori, dovevano decorare l'architettura. L'interno è costituito da un'aula rettangolare voltata a botte, affrescata con cornici policrome e scene della Passione attribuite ad Alessio Baldovinetti (1425-99), mentre il soffitto reca una decorazione di stelle d'oro geometricamente ordinate su campo blu. A lato dell'ingresso un sarcofago marmoreo occupa quasi l'intera lunghezza del piccolo ambiente. Alberti studia con attenzione l'accostamento tra il numero degli elementi del prospetto frontale e quelli del prospetto laterale e dell'abside del sepolcro in modo che il rapporto tra essi riproponga i rapporti armonici musicali esposti nel De re aedificatoria. È in particolar modo da ammirare la maestria con cui articola somiglianze reali e più o meno strette parentele concettuali: sull'abside non vi sono paraste, ma solo intervalli verticali nella decorazione, e del resto su questo lato neppure di riquadri intarsiati possono considerarsi perfettamente simili, con la loro curvatura e le dimensioni leggermente più allungate, ai loro corrispettivi presenti sui prospetti laterali e frontale . L'apertura della porta, sormontata da un riquadro contenente un'iscrizione invece che un intarsio circolare simile agli altri trenta che decorrano la piccola architettura, introduce un'ulteriore diversificazione, rendendo il calcolo delle partizioni non banale e moltiplicando le possibili letture. La tabella che segue riassume il numero degli elementi architettonici presenti su ogni lato, riportando tra virgolette quelli che subiscono una qualche mutazione:
È possibile individuare rapporti armonici sia prendendo in considerazione il numero degli elementi simili presenti sui vari prospetti, sia confrontando tra loro il numero dei diversi elementi che caratterizzano il singolo prospetto. L'influenza dei rapporti armonici musicali è individuabile anche nelle scelte dimensionali. A questo proposito ho ritenuto doveroso confrontare i risultati e le ipotesi del mio studio con i saggi pubblicati agli inizi degli anni '60 da Bruschi e Dezzi Bardeschi [8], che, per quanto datati, costituiscono un imprescindibile precedente all'analisi metrica di quest'opera Albertiana. Partendo dall'analisi del prospetto anteriore [Fig. 2] è possibile identificare quale misura modulare della piccola architettura la larghezza della parasta (cm 22), molto vicina a quella del palmo romano (cm 22,34), come del resto evidenziato da Dezzi Bardeschi nel suo saggio pubblicato nel 1963 e successivamente ripreso nell'ambito di uno studio sull'intero complesso di S. Pancrazio nel 1966 [9]. Letto in quest'ottica il nucleo fondamentale del prospetto anteriore, spogliato di paraste, basamento e cornici è un quadrato avente lato pari a circa 10 paraste, o, con un'approssimazione ancora minore, a 10 palmi romani (per la precisione cm 222,8 di larghezza e cm 223,4 di altezza). Inoltre 22 cm è l'altezza di ciascuna delle tre cornici che sovrastano capitelli, due delle quali composte di modanature, l'intermedia recante la scritta in caratteri romani. Lo stesso modulo ripetuto due volte e mezzo delimita l'altezza del coronamento gigliato, base compresa (cm 45,4 + cm 9,6 = cm 55), mentre e di circa mezzo modulo (cm 11,7) l'altezza dal basamento. L'aggetto massimo del coronamento, calcolato senza tenere conto della sporgenza delle paraste, corrisponde ancora una volta a un modulo per lato (cm 267,1 - cm 222,8 = cm 44,3; cm 44,3 : 2 = cm 22,15). L'ingombro del prospetto anteriore può essere racchiuso in un rettangolo di cm 267,1 di base e cm 356,2 di altezza, pari circa a 12 x 16 moduli (cm 22 x 12 = cm 264; cm 22 x 16 = cm 352). I lati di tale rettangolo esprimono quindi un rapporto musicale di sesquitertia (uno e un terzo), ovvero 4:3. Anche in questo caso è possibile ottenere un minore grado di approssimazione sostituendo ai 22 cm di larghezza della parasta i 22,34 cm del palmo romano (cm 22,34 x 12 = cm 268,1; cm 22,34 x 16 = cm 357,44), o arrivare ad un margine di errore praticamente nullo se si abbandona l'approccio modulare e si applica il rapporto musicale alla lunghezza della base ((267,1 : 3) x 4 = 356,1). Dezzi Bardeschi, nel saggio del 1963 [10], individua la matrice del rettangolo aureo nelle misure dell'ingresso del sepolcro. Benché accettabile dal punto di vista metrico (includendo nella misurazione anche la cornice otteniamo 80 cm x 1,618 = 129,4 cm contro i 132,3 cm da me rilevati,) l'applicazione del rapporto aureo all'architettura Albertiana rappresenta in qualche modo una forzatura considerando che, come lo stesso Dezzi Bardeschi non manca di rilevare, non se ne trova traccia nel De re aedificatoria, né in altri scritti di Alberti. È inoltre importante sottolineare che, con lo stesso margine di errore (2,9 cm), sarebbe possibile ricondurre l'ingresso alla semplice costruzione del doppio quadrato (considerando la sola bucatura abbiamo 63,4 cm x 2 = cm 126,8 contro i 124 cm del rilievo), di cui l'autore rinascimentale raccomanda l'uso nell'ambito della teoria delle aree armoniche. Inoltre, concettualmente, la bucatura della porta sostituisce due dei quadrati intarsiati, il ché costituisce un'ulteriore ragione per propendere verso la seconda ipotesi, nonostante l'errore, espresso in percentuale, si riveli più elevato (2,19% nella costruzione proposta da Dezzi Bardeschi, 2,26% in quella da me individuata) [11]. Squisitamente armonico è anche il rapporto del sepolcro con la cappella che lo contiene. La croce che sovrasta la piccola cupola segna quasi perfettamente il centro della cappella di cui il sepolcro occupa, sia pure con una certa approssimazione, la terza parte sia in altezza che in larghezza. Il rettangolo tracciato prendendo come estremi la linea del pavimento, il culmine della volta e l'approssimativa linea mediana dei muri perimetrali ha i lati in rapporto musicale di sesquialtera (uno e un mezzo), ovvero 3:2. L'ipotesi del Dezzi Bardeschi, che riconduce il rapporto tra larghezza e altezza dell'aula al rettangolo aureo [12], appare anche in questo caso discutibile, non tanto per l'accettabile approssimazione metrica (l'estrema irregolarità del manufatto, che lo stesso Dezzi Bardeschi mette in risalto, unita all'uso di paraste ad archi a ghiera che scandiscono la volta a botte, da luogo a misurazioni che si prestano a interpretazioni molteplici), ma per la mancanza di un riscontro teorico che ne legittimi l'uso. La ricerca e gli schemi compositivi del prospetto laterale [Fig. 3] deve arrendersi all'accettazione di margini di errore decisamente superiori a quelli del prospetto frontale. Questo può trovare giustificazione se si considera la volontà di Alberti di comporre i due prospetti con elementi dimensionalmente identici e il cui numero fosse modulato, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, da accordi musicali. La ricerca di una armonia macroscopica nel numero delle parti porta a un inevitabile compromesso nei riguardi della più difficilmente apprezzabile armonia metrica, che, pur disattesa nella precisione quantitativa, viene comunque preservata qualitativamente. L'analisi condotta sottolinea come l'approssimazione dei rapporti armonici non avvenga in modo casuale, ma attraverso la somma o la sottrazione di moduli o frazioni di modulo. Anche in questo caso nell'individuazione delle geometrie compositive la larghezza della parasta assume importanza chiave, tuttavia la sua non perfetta coincidenza col palmo romano individua una sorta di polisemia metrica nell''individuazione degli schemi utilizzati, che possono essere interpretati, con diversa approssimazione, sia in relazione a questa antica unità di misura, sia ricorrendo all'autoreferenzialità della parasta come unità costitutiva del modulo architettonico. Possiamo considerare il nucleo del prospetto laterale, spogliato di paraste, basamento, cornici e abside, come un rettangolo di altezza pari a dieci paraste (cm 223, 4) e ampiezza pari circa a circa 15 paraste (cm 324,8 alla verifica metrica, cm 22 x 15 =cm 330 secondo l'ipotesi [13]), quindi in approssimativo rapporto armonico di sesquialtera (uno e un mezzo) ovvero 3:2. Se sostituiamo alla larghezza della parasta quella del palmo romano, il rettangolo individuato è alto esattamente 10 palmi e largo 14,5 palmi (cm 22,34 x 14,5 = cm 323,93). L'errore individuato nell'applicazione del rapporto armonico non è quindi casuale, ma è uguale ad un difetto di mezzo modulo. Considerando anche la sporgenza dell'abside, che misura 88 cm, ovvero 4 paraste, otteniamo per questo schema una lunghezza di circa 19 paraste, che configura, rispetto all'altezza di 10 paraste, un rapporto di doppio quadrato a meno di un modulo in larghezza. Inscrivendo il prospetto in un rettangolo similmente a quanto fatto per il prospetto frontale è possibile individuare tra i lati un rapporto molto simile a quello di sesquitertia (uno e un terzo), pari a 4:3. L'errore che si riscontra nella verifica di questo rapporto è piuttosto rilevante, tuttavia anch'esso non è casuale. La larghezza del rettangolo è di cm 458,5, pari a 20,5 palmi romani (cm 22,34 x 20,5 = cm 457,97), mentre l'altezza è di cm 356,2, ovvero 16 palmi (cm 22,34 x 16 = cm 357,44). L'errore corrisponde quindi, come evidenziato dalla verifica grafica, a mezzo modulo in larghezza e un modulo in altezza. Seguendo lo stesso schema logico è possibile ipotizzare per questo prospetto un rapporto di sesquiterzia basato sulla modulo derivante dalla larghezza delle paraste: la larghezza è infatti molto vicina a 21 moduli (cm 22 x 21 = cm 462), mentre l'altezza è pari a circa 16 moduli (cm 22 x 16 = cm 352). In questo caso a entrambi i termini del rapporto armonico è stata aggiunta una lunghezza pari a un modulo. L'ingombro del sepolcro è, anche in questa sezione, pari a circa un terzo della cappella che lo contiene, anche se in questo caso, ad una centratura quasi perfetta della piccola architettura rispetto al suo contenitore, non corrisponde l'allineamento rispetto al centro della cupola lignea che, collocata nella nostra ipotesi sopra il foro presente sulla volta del sepolcro, risulta leggermente spostata verso il fronte di quest'ultimo. Anche la decorazione della cappella appare improntata all'utilizzo geometrico degli accordi musicali Pitagorici: le finestre sono incorniciate in rettangoli che da parasta a parasta, da basamento a cornice, risultano in un rapporto di sesquialtera (3:2), con un'altezza pari a cm 552,3, e una larghezza che varia tra i cm 370,2 del rettangolo a sinistra, i cm 363,2 di quello centrale e i 364,9 cm del rettangolo più a destra ((cm 552,3 : 3) x 4 = cm 368,2); mentre l'intera luce della cappella ha un rapporto larghezza altezza di 32:27, corrispondente a un accordo Pitagorico di sesta minore (nella sezione centrale la larghezza è di cm 1.232, mentre l'altezza è cm 1.041, contro i 1.039,5 cm della costruzione ipotizzata). L'ipotesi sostenuta da Arnaldo Bruschi nel saggio del 1961 [14] e poi ripresa ed ampliata da Dezzi Bardeschi nel 1963 e nel 1966 [15], secondo cui la larghezza della trabeazione costituirebbe l'elemento modulare nella composizione della Cappella Rucellai, non sembra trovare sufficiente riscontro: la costruzione è accettabile se applicata all'altezza dei muri perimetrali che, dal pavimento alla trabeazione, corrisponde a circa 4 moduli (l'altezza della trabeazione è infatti pari a 148 cm, mentre il setto murario oggetto dell'indagine ha un'altezza di cm 586, con un difetto rispetto alla costruzione proposta di 6 cm); più ardua risulta l'applicazione dello stesso modulo all'altezza massima della volta, che dovrebbe corrispondere a cm 148 x 2 = cm 296, ed è invece pari a cm 307. Secondo Dezzi Bardeschi inoltre alla metà della larghezza della trabeazione corrisponderebbe la larghezza dei basamenti delle paraste, che dovrebbero quindi essere lunghi 74 cm, mentre il rilievo da me effettuato mette in evidenza che essi non sono neppure uguali e sono larghi 76 cm e 79,6 cm. L'ipotesi che Dezzi Bardeschi ne deriva è che i rettangoli compresi tra le paraste e la trabeazione siano modulati su un rapporto 8:5, che costituirebbe un'approssimazione del rapporto aureo: l'altezza dovrebbe essere pari, come esposto precedentemente, a cm 74 x 8 = cm 592, mentre la larghezza a cm 74 x 5 = cm 370. Né Bruschi, né Dezzi Bardeschi mettono in evidenza il fatto che i tre rettangoli indagati non sono uguali tra loro e Dezzi Bardeschi non riscontra incompatibilità nell'accogliere, insieme alla propria ipotesi del rapporto 8:5, anche quella del Bruschi che individua la proporzione aurea come matrice dello stesso rettangolo (ipotesi quest'ultima effettivamente applicabile al rettangolo di destra che misura cm 586 x cm 364,9, ed ha quindi una larghezza conforme ai 366,25 cm della costruzione proposta). In pianta [Fig. 4] l'ingombro totale del sepolcro può essere iscritto in un rettangolo di proporzioni musicali corrispondenti ad una doppia sesquitertia avente base minore pari a circa 11 volte la larghezza delle paraste (per il lato minore cm 22 x 11 = cm 242 molto vicino ai cm 241,8 da me rilevati; per il lato maggiore ([[(cm 241,8 :3) x4] :3] x4 = cm 429,8, ancora una volta assai prossimo ai 431,8 cm del mio rilievo). Inoltre, essendo il fronte impostato sul quadrato, il rettangolo della parete intarsiata laterale, spogliata di cornici e paraste (cm 223,4 x cm 324,8), è pari al rettangolo che delimita il sacello in pianta (cm 222,8 x cm 324,8). E' possibile individuare un'ulteriore proporzione musicale, basata sul coronamento gigliato, il cui ingombro corrisponde, in pianta, con quello del basamento. I gigli si trovano nella proporzione numerica di 6:8, pari a 3:4, tuttavia la stessa proporzione non è riscontrabile nelle misure degli lati del sepolcro in quanto la larghezza della decorazione è abilmente variata nel passaggio dal lato lungo a quello corto, come evidenziato dalla griglia costruita collegando gli apici dei gigli stessi. Misurando il perimetro del lato absidato è possibile riscontrare l'uguaglianza della sua lunghezza con quella del lato maggiore del tempietto: cm 23,5 + cm 88 x 3,14 + cm 23,5= 323,32, misura molto vicina ai 324,8 del lato suddetto. Paradossalmente quindi la piccola architettura quadrangolare presenta 3 lati uguali, lunghi 14,5 piedi romani, e uno più corto, equivalente a 10 piedi, ovvero una canna architettonica romana. La cappella risulta invece avere in pianta uno sviluppo molto semplice basato su quella che Alberti stesso definisce una "area doppia". Già Dezzi Bardeschi, nel suo saggio del 1966 [16], aveva evidenziato questa corrispondenza, del resto assai ricorrente nelle costruzioni medievali (non dimentichiamo che Alberti interviene su uno spazio preesistente, modificandolo solo in parte), sottolineando, però, anche l'estrema irregolarità dell'impianto che determina lunghezze sensibilmente diverse nei lati corrispondenti. A questo proposito ho potuto verificare che se si costruisce un rettangolo prendendo come riferimento non i setti murari, ma i basamenti delle paraste, si ottiene una figura abbastanza regolare il cui lato lungo misura esattamente due volte il lato corto, seguendo l'accordo musicale di ottava. Questa costruzione non solo giustifica l'irregolarità nell'aggetto dei basamenti, ma testimonia la volontà del progettista di "regolarizzare" il più possibile la cornice del proprio intervento progettuale. Può quindi essere parzialmente accettata la tesi sostenuta da Bruschi secondo cui "la pianta di ogni campata (da muro a muro) risulta proporzionata sul rapporto di 2 a 3"; infatti dividendo in tre campate un ambiente rettangolare con un lato di lunghezza doppia dell'altro si ottengono spazi rettangolari modulati secondo il rapporto 2 a 3. Già Dezzi Bardeschi aveva invece evidenziato come la successiva affermazione di Bruschi, secondo cui "lo spazio libero di ogni campata è un rettangolo aureo", non trovasse conferma in una puntuale verifica metrica. Più difficile è invece ritrovare la matrice proporzionale che governa le tarsie del pavimento: le varie strade tentate si sono rivelate infruttuose e solo alcuni rettangoli hanno rivelato una precisa costruzione geometrica. L'interno del Sepolcro rivela una perizia costruttiva nettamente inferiore al paramento marmoreo che ne caratterizza l'esterno: le pareti sono deformate da aggetti e bozzi e conseguentemente la ricerca delle matrici proporzionali presenta una minore precisione. L'ipotesi di Dezzi Bardeschi di ricondurre la sezione trasversale [Fig. 5] del sepolcro ad un rettangolo aureo che comprenda anche lo spessore della volta viene confutata dalla verifica metrica in quanto l'altezza, pari a 301,1 cm, e la larghezza, cm 175,3, non corrispondono al rapporto aureo. L'errore è probabilmente imputabile ed una sovrastima dello spessore della volta, che, nei disegni, peraltro non quotati, che accompagnano il saggio del '62, comprende il basamento dei gigli. È invece possibile ritrovare una matrice proporzionale simile a quella già riscontrata nel prospetto laterale, basata sull'approssimazione dei rapporti armonici. Se si considera come riferimento la circonferenza che genera la volta a botte ribassata del piccolo vano, otteniamo un modulo di 187,6 cm, pari alla larghezza del vano (cm 175,3) a meno di un errore di 12,3 cm. Questo modulo, moltiplicato per 1,5 secondo il rapporto di sesquialtera (3:2), genera una lunghezza di 281,4 cm, pari all'altezza del vano (cm 271,4) a meno di un errore di 10 cm, quindi molto simile al precedente. Colpisce in particolar modo il fatto che entrambe gli errori si avvicinino molto agli 11 cm, ovvero alla metà della larghezza delle paraste, e siano quindi riconducibili ad una frazione di modulo secondo lo stesso processo di approssimazione che avevamo riscontrato nelle matrici proporzionali del prospetto laterale. Questi indizi potrebbero far pensare all'utilizzazione sistematica di proporzioni musicali ai cui termini vengano addizionati o sottratti moduli prefissati: matematicamente la proporzione perde la sua validità, tuttavia è comunque possibile risalire graficamente alla sua genesi. È inoltre da evidenziare il reiterato ricorso di Alberti al rapporto di sesquitertia, presente sia nei due prospetti che nella pianta, dove lo si ritrova nella forma della doppia sesquitertia. Questo dato concorda con le prescrizioni contenute nel De re aedificatoria che consiglia ai progettisti di ricorrere, nel determinare le tre dimensioni di un'architettura, a proporzioni derivate tutte da una stessa sequenza di rapporti armonici, evitando di utilizzare in maniera casuale le varie sequenze [17]. IL SIMBOLISMO MUSICALE DA PITAGORA AL DE
RE AEDIFICATORIA A riprova dell'incontrovertibilità di questo semplice assioma Alberti cita la "nota sentenza Pitagorica" secondo cui "è assolutamente certo che la natura non discorda mai da sé stessa" [20], un precetto tratto dalla filosofia greca più antica che ricorre spesso nel trattato, fino a divenire una sorta di filo conduttore dello stesso: anche quando non lo esplicita, Alberti di fatto lo pone in pratica desumendo dalla biologia e dalla matematica, dalla fisiologia e dalla musica, dall'astronomia e dalla geometria i precetti del fare architettura. A volte il ragionamento con cui l'autore deduce, a partire da queste discipline, le regole dell'edificare è di tipo causa-effetto: il buonsenso, le pratiche costruttive consolidatesi nei secoli, la conoscenza dei materiali e delle leggi fisiche, sebbene a volte imprecisa e lacunosa, suggeriscono alcuni comportamenti e precauzioni secondo un processo logico che, anche alla luce dell'attuale visione post-Galileiana, non abbiamo difficoltà a definire scientifico. Più spesso il rapporto è di tipo simbolico: numeri e proporzioni vengono preferiti ad altri in quanto riconosciuti come "ricorrenti" in situazioni ed eventi naturali o perché dotati di caratteristiche notevoli dal punto di vista matematico o geometrico; questo li rende, per usare una definizione dello stesso Alberti, depositari di particolari "proprietà" [21] a cui il progettista deve ricorrere nel determinare la forma del costruito. Quel che ne deriva è un'architettura fortemente connotata dal punto di vista simbolico, che, nei suoi esempi più riusciti, arriva ad essere la summa delle conoscenze e della visione del mondo dell'epoca che l'ha prodotta. Nonostante l'atteggiamento della cultura contemporanea nei confronti di queste realizzazioni sia di grande ammirazione, la lettura del simbolismo che vi è sotteso tende a svalutare l'importanza delle scelte progettuali che le hanno generate, interpretando il simbolo esclusivamente come segno linguistico. Da questo punto di vista il quadrato, il numero sette, il rettangolo aureo, rimandano a un significato o a una famiglia di significati, sono niente più che "parole" di un discorso. L'architettura che li connette viene quindi decodificata come "racconto" di una superiore armonia cosmica. L'errore consiste nell'applicare un vocabolario contemporaneo, mutuato dagli studi sulle tecniche di comunicazione visiva, a testi che contemporanei non sono. La lettura del rapporto tra simbolo, significato e oggetto reale in termini di pura referenzialità semantica è infatti un concetto alieno alla cultura antica, a quella medievale e, in gran parte, anche a quella moderna. Nel pensiero magico i tre termini si confondono, il simbolo partecipa della natura del referente perché ne contiene una parte, ne riproduce le sembianze, o semplicemente ne porta il nome, ciò consente all'azione magica di esplicarsi sull'oggetto simbolico provocando una mutazione della realtà. Questa traslazione assume un peso ancora maggiore se riferita al simbolismo matematico-geometrico, considerato in grado, nell'ambito delle varie culture, di riprodurre l'ordine primigenio sotteso all'apparente caos del reale. Modellando la propria opera secondo i numeri e le figure che presiedono all'armonia dell'universo, l'architetto si sforza di raggiungere una perfetta consonanza con esso, assicurando al manufatto bellezza e solidità e ispirando il suo fruitore alla contemplazione del vero. Il simbolo non è "parola" del discorso architettonico, ma garanzia di qualità per l'architettura vi si conforma, che, conseguentemente, non "racconta" il progetto originario del cosmo, ma ne diviene parte. Nella ricerca delle proporzioni che meglio rispondono a questo scopo l'analisi dei rapporti armonici musicali assume un'importanza fondamentale fin dal VI secolo a.C., quando Pitagora, secondo una tradizione molto diffusa nel medioevo e non priva di fondamento storico, scopre che alla base di due suoni concordanti vi sono semplici rapporti matematici tra le grandezze degli oggetti che li hanno prodotti [22]. Questa legge, che ha validità universale, si esprime con maggiore evidenza nei suoni prodotti da due corde di uguale materiale, spessore e tensione, ma di lunghezza diversa. In particolare la scuola Pitagorica riconduce tutti gli accordi possibili a rapporti tra potenze dei numeri due e tre, mettendo l'armonia musicale in relazione con la Tetraktys, la sequenza dei primi quattro numeri interi che rappresenta nel Pitagorismo la rivelazione dell'ordine divino: partendo da un suono iniziale, che corrisponde al DO, è infatti possibile individuare un suono concordante, il SOL, prodotto da una corda la cui lunghezza è pari a 2/3 di quella che ha prodotto il DO, l'accordo DO-SOL così definito è detto di quinta, perché cinque sono le note che compongono l'intervallo; a sua volta una corda di lunghezza pari a 2/3 di quella che ha prodotto il SOL produrrà un suono ancora più acuto, corrispondente al RE dell'ottava successiva; proseguendo in questo modo, per quinte ascendenti, si definiscono in dodici passaggi tutti i toni e i semitoni della scala musicale detta appunto Pitagorica. I suoni risultano ovviamente distribuiti nell'arco di più ottave, sette per la precisione, e la lunghezza delle corde corrispondenti deve essere opportunamente divisa per potenze di 2 se si desidera riportare tutte le note all'interno dell'ottava di riferimento [23]. La scala Pitagorica è probabilmente la più antica, ma non la sola elaborata nell'ambito della complessa teoria musicale greca, tuttavia per sue forti valenze simboliche, con i numeri 1,2,3 che la governano reinterpretati in chiave trinitaria, diverrà la base della teoria musicale medievale, a dispetto della difficoltà di esprimere con essa tutti gli accordi possibili [24]. Le implicazioni che la filosofia antica derivò dalla scoperta della valenza numerica degli accordi trascendono di gran lunga l'ambito musicale. Pitagora stesso la interpretò come prova inconfutabile dell'ordine matematico dell'universo. Essa presiederebbe, secondo la sua teoria, ai moti di rivoluzioni e dei pianeti, il cui movimento produrrebbe così una sorta di incessante melodia cosmica. La teoria della musica delle sfere ebbe una fortuna enorme, condizionando pressoché tutta la filosofia successiva. Ancora nel 1619 Keplero, nel suo Harmonices Mundi Libri V, non espone solo le celebri leggi che dimostrano la geometria ellittica delle orbite planetarie, ma si dilunga nella definizione delle melodie prodotte da ciascun pianeta, trascrivendole su pentagramma e allegandole alla trattazione [25]. Nel VI sec. a.C. Platone nel Timeo descrive il Demiurgo nell'atto di dare forma alla materia caotica secondo una serie di proporzioni matematiche che riproduce con esattezza la genesi della scala Pitagorica [26]. In frammenti, o attraverso gli scritti dei neoplatonici latini Calcidio e Macrobio, quest'opera è l'unico testo Platonico ad essere conosciuto nel medioevo, epoca in cui, considerato una sorta di summa del sapere antico, influenzò profondamente la filosofia scolastica [27]. Nonostante il valore attribuito ai rapporti armonici musicali, per Platone l'arte, in quanto copia del reale, a propria volta plasmato sulle idee iperuraniche, non è che copia della copia, e assume un valore negativo nel processo di avvicinamento dell'uomo alla conoscenza. Solo col neoplatonismo, intorno al III secolo d.C., il rapporto si capovolge: l'arte viene interpretata come rappresentazione delle forme ideali e costituisce percorso preferenziale nel cammino verso la verità. In quest'ottica Sant'Agostino nel suo De Musica (386 d.C.) pone a fondamento della bellezza della metrica poetica [28] l'ordine matematico e l'importanza universale dei numeri che la governano. In questo contesto troviamo esplicitato il parallelismo Albertiano tra l'armonia numerica della musica e del ritmo apprezzabile con udito e quella degli oggetti tridimensionali goduta tramite la vista: "dunque queste cose belle piacciono a causa del numero in cui, come abbiamo già mostrato, si ricerca l'uguaglianza. D'altra parte tale numero non si trova soltanto nella bellezza pertinente all'udito e che si fonda sul movimento dei corpi, ma anche nelle stesse forme visibili, a proposito delle quali si parla più comunemente di bellezza [29]." In particolare nell'opera Agostiniana l'aggettivo numerosus assume, concordemente a una lunga tradizione d'uso introdotta nelle lingua latina dagli scritti di Cicerone, sia il significato di "basato sui numeri" che quello di "armonioso", sottolineando con questa polisemia il legame esistente nell'antichità tra matematica e bellezza. Più di un secolo dopo, intorno al 500 d.C., Severino Boezio riprende lo stesso concetto nel De Istitutione Musica, affermando che l'orecchio è colpito dai suoni nello stesso identico modo in cui lo è l'occhio dalle impressioni ottiche, poiché in entrambi è possibile riscontrare le stesse armonie numeriche [30]. Anche nell'ambito della filosofia scolastica l'idea che gli accordi musicali governassero ogni sorta di bellezza era ampliamente condivisa. Abelardo nel suo Theologia Christiana (1124) mette in diretto collegamento musica e architettura sottolineando come le principali dimensioni del Tempio di Salomone, quali si leggono nel I Libro dei Re, siano regolate dai rapporti armonici: lunghezza, larghezza, altezza dell'edificio sono di 60, 20 e 30 cubiti, quelle della cella 20x20x20 cubiti (ovvero un cubo perfetto), l'aula misura 40x20x30 cubiti, il porticato misura invece 20x10 cubiti [31]. L'importanza di queste misure era data dal fatto di costituire l'esatto doppio di quelle del tabernacolo fatto costruire da Mosè su precise indicazioni divine che ne specificavano, oltre i materiali e la tipologia, anche le proporzioni. Proprio per questo intervento diretto della divinità nella definizione del progetto il Tempio di Salomone rappresentava, per la cultura Medioevale, il simbolo della cattedrale perfetta, oltre che l'immagine stessa dell'universo [32]. Nonostante le indubbie difficoltà a stabilire se queste speculazioni avessero un riscontro nella pratica architettonica è chiaro che la teoria Albertiana non costituisce il risultato di una riflessione autonoma, basata unicamente su quelle fonti classiche a cui lo stesso Alberti fa esplicito riferimento nel suo trattato [33], ma si situa a coronamento di una secolare tradizione di pensiero che, durante tutto il medioevo, aveva approfondito lo studio del valore simbolico ed espressivo dei rapporti armonici [34]. La stessa paradigmatica affermazione Albertiana che abbiamo citato in apertura del testo può considerarsi una parafrasi sia del testo di Boezio, sia di quello, ancora più antico, di Agostino. Nel De re aedificatoria i rapporti armonici vengono utilizzati per definire la delimitazione degli elementi architettonici, che, insieme al numero e alla collocazione degli stessi, costituisce, secondo l'autore, una delle tre regole in grado di garantire la bellezza di un qualsiasi manufatto [35]. Le regole della delimitazione hanno a loro volta due importanti campi di applicazione: la determinazione delle aree e quella dei volumi. Ampio spazio viene dedicato nel trattato alla costruzione di aree rettangolari caratterizzate da un particolare rapporto tra i lati [36]. Gli accordi di cui Alberti si serve per strutturare la sua teoria delle aree armoniche sono quelli della scala Pitagorica, gli unici riconosciuti validi nell'ambito della teoria musicale medievale [37]. Nel De re aedificatoria Alberti non si dilunga in una completa esposizione della teoria musicale, che egli afferma esulare, nella sua complessità, dagli intenti della trattazione, ma si limita ad elencare i principali accordi [38]:
Applicando queste proporzioni armoniche alle lunghezze dei lati di un rettangolo Alberti definisce nove aree a loro volta suddivise in tre gruppi di tre aree ciascuna. I primo gruppo, le aree corte, comprende l'area quadrata, quella sesquialtera e quella sesquitertia; il gruppo delle aree medie è costituito dall'area doppia, l'area due volte sesquialtera e l'area due volte sesquitertia; il terzo gruppo, delle aree lunghe, comprende l'area tripla, quella doppia più sesquitertia e l'area quadrupla [Fig. 6]. La prosa Albertiana, estremamente chiara e accompagnata da esempi numerici, non dà margini di errore sull'interpretazione delle costruzioni relative a ciascuna delle aree. In alcuni rettangoli ottenuti la proporzione tra i lati corrisponde esattamente a uno del rapporti armonici, mentre in altri casi la proporzione armonica viene applicata due volte, prima al quadrato, poi al lato lungo del rettangolo così ottenuto, dando luogo a un rettangolo i cui dati non corrispondono a particolari accordi musicali, ma discendono da questi ultimi attraverso quella che Wittkower definisce "generazione dei rapporti" [39]. Resta da stabilire perché Alberti scelga alcune particolari sequenze di rapporti e non altre. Maria Karvouni pone questo problema nel suo saggio Il Ruolo della Matematica nel "De re aedificatoria " dell' Alberti e lo risolve brillantemente spostando l'attenzione dai rapporti tra ai lati dei rettangoli a quelli tra alle aree e degli stessi: è infatti possibile dimostrare che le aree corte sono consonanze armoniche del quadrato, le aree medie consonanze armoniche di quelle corte e le aree lunghe consonanze armoniche di quelle medie [40]. Ritengo tuttavia che questo modo di porre il problema contenga un errore di fondo: presuppone che Alberti abbia scelto alcune determinate aree a discapito di altre. Effettivamente, prendendo in considerazione un'area quadrata e applicando a un lato di quest'ultima tutte le possibili sequenze composte da due dei tre rapporti armonici presi in considerazione da Alberti, otteniamo 9 possibili combinazioni, che, aggiunte al quadrato e alle aree ottenute applicando a quest'ultimo un unico rapporto armonico, dovrebbero teoricamente costituire una serie composta da 13 aree diverse. In realtà alcune di queste aree si equivalgono, hanno, in altre parole, lo stesso rapporto tra i lati, conseguentemente le aree ottenibili applicando ad un quadrato nessuno, uno o due rapporti armonici sono solo 9, esattamente le nove aree descritte nel De re aedificatoria. [Fig. 7] Se applicassimo al quadrato di base non due, ma tre rapporti armonici otterremmo 27 nuove costruzioni. Di queste 12 sono equivalenti a quelle descritte nel De re aedificatoria , 10 hanno un rapporto tra i lati maggiore di 4:1 e risultano conseguentemente troppo allungate per avere una pratica applicazione in architettura, e solo 5, di cui 3 equivalenti, rappresentano aree non prese in considerazione da Alberti. Le costruzioni oggetto della trattazione Albertiana hanno quindi la straordinaria proprietà di definire aree ricorrenti nel processo di generazione dei rapporti, e vengono perciò utilizzate per riassumere una progressione geometrica che, teoricamente, potrebbe essere infinita. Lo stesso Alberti appare ben conscio del fatto che sequenze diverse di rapporti armonici possono dare luogo a rettangoli equivalenti quando descrive diverse costruzioni delle aree doppie, triple e quadruple [41]. Egli ha inoltre una certa familiarità con l'arte combinatoria, come si evince da altre sue opere quali il De Componendis Cifris, dedicata all'arte della crittografia [42]. Nel De re aedificatoria Alberti consiglia l'utilizzo delle proporzioni musicali non solo per definire delle superfici, ma anche per delimitare i volumi. Ogni superficie è infatti il risultato di una sequenza di rapporti armonici, una volta definita tale sequenza, è possibile utilizzare uno o più elementi della serie per delimitare la terza dimensione dell'oggetto da progettare, completando in tal modo la sua configurazione spaziale. CONCLUSIONI NOTE [2] Gastone Petrini, La Cappella del Santo Sepolcro, Salimbeni Libreria Editrice, Firenze 1981. ritornare al testo [3] Ho approfondito questo argomento nella mia tesi di laurea dal titolo WWW.simboli&architettura.it.Progetto per un sito internet multimediale sui rapporti tra simbolo e architettura: il Sepolcro Rucella i di L.B. Alberti, Università degli studi di Firenze, Facoltà di architettura, aa. 1999-2000. ritornare al testo [4] La cappella, situata all'angolo tra Via della Spada e Piazza S. Pancrazio, non è attualmente aperta al pubblico. A chi voglia godere della sua splendida e singolare architettura non resta che partecipare alla Santa Messa che vi viene celebrata ogni sabato pomeriggio. ritornare al testo [5] Per una più ampia trattazione delle problematiche generali relative alla periodizzazione e all'interpretazione critica del Sepolcro Rucellai rimandiamo al saggio di Robert Tavernor, On Alberti and the Art of Building, Yale University Press, New Haven and London 1998, che riporta anche una bibliografia aggiornata degli studi pubblicati su quest'opera Albertiana. ritornare al testo [6] Non è stato ancora chiarito, in parte a causa delle complesse vicende che hanno interessato nei secoli il Santo Sepolcro, se vi fosse una qualche corrispondenza metrica tra la realizzazione Albertiana e il suo originale gerosolimitano. È tuttavia assai probabile che si trattasse di un parallelismo concettuale e che il richiamo alle misure, peraltro messo ulteriormente in dubbio dalle ultime acquisizioni (si veda, anche in questo caso, il già citato studio di Tavernor), avesse un valore puramente simbolico. ritornare al testo [7] Marco Dezzi Bardeschi, Nuove Ricerche sul S. Sepolcro nella Cappella Rucellai a Firenze, in Marmo II, 1963, pag.149. ritornare al testo [8] Nel 1961 Arnaldo Bruschi inserisce nel suo saggio Osservazioni sulla Teoria Architettonica Rinascimentale nella Formulazione Albertiana (pubblicato nei Quaderni dell'Istituto di Storia dell'Architettura dell'Università di Roma, serie VI-VIII, fascicoli 31-48, Roma 1961) alcuni interessanti riferimenti alla matrice geometrica del Sepolcro Rucellai. Due anni più tardi viene pubblicato il già citato saggio di Dezzi Bardeschi, Nuove Ricerche sul S. Sepolcro nella Cappella Rucellai a Firenze, ripreso ed ampliato nel successivo Il Complesso Monumentale di S. Pancrazio a Firenze e il Suo Restauro (in Quaderni dell'Istituto di Storia dell'Architettura dell'Università di Roma, serie XIII, fascicoli 73-79, Roma 1966). Alla data di stesura del presente articolo non mi risultano essere stati pubblicati ulteriori contributi all'analisi metrica di questa architettura Albertiana, da cui l'importanza dei testi precedentemente citati, nonostante si tratti di studi ormai datati. ritornare al testo [9] Marco Dezzi Bardeschi (1963), op. cit., pag. 151, ripreso nel successivo Il Complesso Monumentale di S. Pancrazio a Firenze e il Suo Restauro (1966), op. cit., pag. 21. ritornare al testo [10] Marco Dezzi Bardeschi (1963), op. cit., pag. 158 e fig. 16. Si noti che, essendo il Sepolcro in figura rappresentato in sezione, non vi sono riferimenti per la matrice proporzionale che l'autore intende applicare alla porta. ritornare al testo [11] La differenza nell'errore percentuale della due costruzioni, applicate a ordini di grandezza simili e margini di errore metrico uguali, sottolineare come le dimensioni ridotte del Sepolcro siano tali da falsare l'espressione percentuale dell'errore, in quanto discrepanze anche ridottissime assumono una rilevanza enorme se confrontate con le lunghezze decisamente fuori scala di questa particolare architettura. Per questo motivo ho preferito sottolineare nel corso della trattazione l'effettiva consistenza metrica delle approssimazioni, discostandomi dalla prassi consolidata di questo genere di studi. ritornare al testo [12] Marco Dezzi Bardeschi (1963), op. cit., pag. 158 e fig. 16. ritornare al testo [13] L'approssimazione di questo rapporto ( pari all'1,6%) sarebbe minore se si prendesse come larghezza di riferimento la cornice che reca l'iscrizione (cm 328), tuttavia si è voluta preservare la coerenza tra l'analisi del prospetto frontale e quella del prospetto laterale, anche tenuto conto del fatto che, variando di volta in volta il punto di riferimento, sarebbe possibile, in virtù della straordinaria abbondanza di cornici, aggetti e modanature, applicare praticamente qualsiasi costruzione, inficiando però al tempo stesso la validità dello studio svolto. ritornare al testo [14] Arnaldo Bruschi(1961), op. cit., fig. 10. ritornare al testo [15] Marco Dezzi Bardeschi (1963), op. cit., pag. 157-159 e fig. 17 e Marco Dezzi Bardeschi (1966), op. cit., pag. 21. ritornare al testo [16] Marco Dezzi Bardeschi (1966), op. cit., pag. 20. ritornare al testo [17] Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, libro IX, capitolo VI, op. cit., pag. 828. ritornare al testo [18] Leon Battista Aberti, De re aedificatoria, libro IX, capitolo V, traduzione di Giovanni Orlandi, note di Paolo Portoghesi, ed. Il Polifilo, Milano 1966, pag. 822. ritornare al testo [19] Per un approfondimento sul ruolo dei rapporti armonici in architettura il testo di riferimento è costituito dall'insuperato saggio di Rudolf Wittkower, Principi Architettonici nell'Età dell'Umanesimo, Einaudi, Torino 1964, pagina 135 e seguenti. ritornare al testo [20] Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, libro IX, capitolo V, op. cit., pag. 820. ritornare al testo [21] Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, libro IX, capitolo V, op. cit., pag. 818. ritornare al testo [22] Ogni strumento musicale produce un suono grazie alla vibrazione di una corda, di una colonna d'aria, o di una membrana che mette in moto l'aria circostante allo stesso modo di un sasso lanciato in uno stagno, dando luogo all'onda sonora. Più veloce è la vibrazione, più corta è la lunghezza d'onda, più acuta la nota prodotta. A parità di altri fattori, quali materiale, tensione, spessore, la velocità della vibrazione e inversamente proporzionale alla lunghezza del corpo vibrante e questo consente di tradurre la pratica musicale in termini di rapporti matematici tra lunghezze. Secondo la teoria delle armoniche sviluppata da E. Hermoltz nel 1862 e citata tra gli altri da Fabio Bellissima nel breve saggio Alcune Possibilità per la Didattica (pubblicato negli Atti del Convegno Arte e matematica: un Sorprendente Binomio, Matesis, Sezione di Vasto 1997) alla vibrazione principale, il cui ventre si espande per tutta la lunghezza del corpo vibrante, si accompagnano vibrazioni secondarie, dette armoniche, i cui ventri hanno lunghezze pari a sottomultipli della lunghezza principale. Note aventi ventri vibranti con lunghezze in semplici rapporti tra loro hanno più armoniche in comune e, se eseguite contemporaneamente, danno luogo a un suono piacevole che la teoria musicale chiama accordo. L'eufonia dei principali accordi non dipende quindi da ragioni di gusto, ma da semplici leggi fisiche, in effetti tutte le civiltà, per quanto distanti tra loro, basano le loro scale musicali sui principali accordi di ottava, di quinta e di quarta, matematicamente esprimibili tramite i rapporti 1:2, 2:3 e 3:4. Dato un suono i tre accordi principali citati precedentemente possono essere utilizzati per definire l'altezza di tre note ulteriori, più esplicitamente dato un DO iniziale l'accordo di ottava definisce l'altezza del DO dell'ottava successiva, quelli di quinta e di quarta rispettivamente del SOL e del FA intermedi. In questo modo tra il FA e il DO si definisce un ulteriore intervallo di quarta, mentre tra SOL e FA l'intervallo è pari a un tono, ovvero 9:8. Obbiettivamente quattro note sono poche per eseguire una qualsiasi melodia, ma il problema di "riempire" con ulteriori note gli intervalli di quarta presenti agli estremi della scala non è stato risolto univocamente nell'ambito delle varie culture. Alcune teorie musicali, quali quelle orientali o quella celtica, individuano solo due note ulteriori dando luogo a scale pentatoniche. Le culture occidentali, influenzate dalla teoria musicale greca, ne aggiungono quattro, dando luogo a scale composte da sette note. ritornare al testo [23] La definizione della scala Pitagorica per quinte ascendenti è un processo affascinante, in cui tuttavia è insito un errore: dopo aver percorso dodici quinte si dovrebbe teoricamente definire un DO sette ottave sopra quello iniziale. Invece la nota che si ottiene diverge dal DO per un valore che prende il nome di comma Pitagorico ed è pari a 531441/524288. Questa ed altre discrepanze dell'accordatura Pitagorica erano ben note fin dall'antichità, tanto che nell'ambito della stessa tradizione musicale greca erano state elaborate diverse scale alternative. Per un approfondimento sui problemi matematici collegati alla definizione della scala Pitagorica si veda il saggio di Giuseppe Conti Matematica, Musica e Architettura, pubblicato nel volume Matematica e Architettura, Alinea editrice, Firenze 2001. ritornare al testo [24] La scuola Pitagorica definisce l'omonima scala inserendo in ogni intervallo di quarta due intervalli di un tono, pari a 1:8, e un ulteriore intervallo pari a 243:256. Si ottiene così una scala dotata di particolari proprietà matematiche, tra cui quella già accennata legata alla progressione delle quinte, ma capace unicamente di esprimere gli accordi principali, rendendo lievemente stonati tutti gli altri. L'esistenza di ulteriori accordi quali quello di terza maggiore (5:4) e di terza minore (6:5) era conosciuta fin dall'antichità e aveva dato luogo all'elaborazione della scala naturale, in cui gli intervalli di quarta vengono suddivisi in tre intervalli pari a 9:8, 10:9 e 16:15. La scala naturale, basata sui rapporti epimorici (rapporti in cui il numeratore supera il denominatore di una unità) è la più eufonica in assoluto, in quanto consente di esprimere tutti gli accordi possibili, ed è quella che inconsciamente utilizziamo quando cantiamo o accordiamo "ad orecchio" uno strumento. Descritta da Tolomeo nei suoi Libri Armonici nel II secolo, venne reintrodotta nella teoria musicale solo nel 1558 con il saggio Le Istituzioni Armoniche del veneziano Zarlino. La preferenza accordata dalla teoria musicale medievale alla scala Pitagorica rende improbabile l'utilizzo degli accordi naturali nell'architettura del Medioevo e del primo Rinascimento. A partire dal 1600 si afferma progressivamente l'utilizzo della scala temperata, con l'ottava divisa matematicamente in 12 semitoni uguali. Questa scala esprime in maniera esatta solo l'accordo di ottava (è, in altre parole, lievemente stonata), ma consente di eseguire una melodia su uno strumento partendo da qualsiasi nota senza dover riaccordare lo strumento stesso, proprio in virtù del fatto che tutti gli intervalli fra le note sono uguali. Con questa fondamentale evoluzione viene meno l'influenza della matematica e del simbolismo numerico nei problemi relativi all'accordatura della scala musicale e la musica esce definitivamente dalle discipline matematiche del quadrivio. ritornare al testo [25] AA. VV., Storia delle Scienze, vol. 2, Le Scienze Fisiche ed Astronomiche, a cura di William R. Shea, Giulio Einaudi Editore, Torino 1992, pag. 177-178. ritornare al testo [26] Per una lettura integrale del passaggio citato si rimanda a Platone, Opere Complete, vol. 6, Timeo, traduzione di Cesare Giarratano, Laterza, Bari 1986, pagg. 374-376, che riporta in nota l'interpretazione dei riferimenti musicali presenti nel testo. ritornare al testo [27] Ci riferiamo in particolare al Commento al Timeo di Calcidio, risalente al IV secolo e al più tardo Commento al Somnium Scipionis di Cicerone, redatto nel V secolo da Macrobio, entrambe contenenti ampi riferimenti alle teorie Platoniche e Pitagoriche. Sulla frammentarietà delle fonti classiche conosciute nel Medioevo e sulla loro influenza nell'elaborazione della filosofia scolastica si veda Ludovico Geymonat, Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico, vol.1, L'Antichità - Il Medioevo, Garzanti, Milano 1970, pagg. 482 e 503. ritornare al testo [28] Nonostante il titolo possa ingenerare qualche confusione l'opera di Agostino non si occupa di musica vocale o strumentale, ma di quella particolare branca della teoria musicale che veniva denominata de rhythmo e che riguardava la sequenza di vocali lunghe e brevi su cui si basa la metrica poetica greca e latina. ritornare al testo [29] Agostino, De Musica, VI,13,38, traduzione e note di Maria Bettetini, Rusconi, Milano 1997, pag. 349. ritornare al testo [30] Severino Boezio, De Istitutione Musica, 1, 32: "Eodem nacque modo auris afficitur sonis vel oculus aspectu, quo animi iudicium numeris vel continua qualitate.", testo a cura di Godofredus Friendlein, B. G. Teubneri editore, Lipsia 1867. ritornare al testo [31] Otto von Simson, La Cattedrale Gotica, Il mulino, Bologna 1988, pag. 47. ritornare al testo [32] La predilezione biblica per i rapporti armonici è evidenziata anche dalla scelta delle dimensioni dell'Arca dell'Alleanza descritta nell'Esodo 25,10: Dio ordina a Mose di costruire una cassa di prezioso legno di cedro alta 1,5 cubiti, larga 1,5 cubiti e lunga 2,5 cubiti. Il rapporto 5:3 che la governa costituisce un rapporto armonico di sesta maggiore naturale, piacevolmente eufonico, anche se non riconosciuto dalla teoria Pitagorica, tuttavia 5/3 costituisce anche una grossolana approssimazione del rettangolo aureo (5:3=0,6 mentre il rapporto aureo è un numero irrazionale le cui prime cifre sono 0,618). ritornare al testo [33] Forse il lettore avrà notato l'assenza in questo saggio di riferimenti all'opera di Vitruvio De Architectura, spesso citata a proposito delle radici classiche del rapporto tra musica e architettura. Non si tratta di una grossolana dimenticanza, ma della presa d'atto che la lunga dissertazione sulla teoria musicale del Pitagorico Aristosseno compare nel libro V del trattato Vitruviano solo in correlazione alla necessità per l'architetto di possedere una cultura che gli permetta di comprendere e risolvere i problemi di acustica collegati alla progettazione dei teatri. Non viene esplicitata, né in questo né in altri punti del trattato, nessuna correlazione di tipo estetico tra le proporzioni alla base degli accordi musicali e quelle che dovrebbero regolare la progettazione architettonica. ritornare al testo [34] Su questo argomento si sviluppò, ormai quasi mezzo secolo fa, un interessante dibattito: nel suo Principi Architettonici nell'età dell'Umanesimo (op.cit. pag. 115 e segg.), Rudolf Wittkower assegna alle proporzioni musicali un ruolo fondamentale nel processo evolutivo che differenziò l'architettura Rinascimentale dalla precedente tradizione medievale. Nel La Cattedrale Gotica Otto von Simson sostiene invece l'ipotesi che le proporzioni musicali non solo fossero state compiutamente teorizzate dall'architettura medievale, ma vi trovassero costante applicazione. In particolare (op.cit., nota 3, pag. 10) l'autore chiama esplicitamente in causa Wittkower, reo di sottovalutare la continuità teorica e operativa esistente tra Medioevo e Rinascimento. Wittkower d'altro canto controbatte in una successiva edizione del suo saggio (op.cit., nota 1, pag. 152), sottolineando la difficoltà di definire un compiuto sistema estetico nell'ambito delle scuole medievali e l'impossibilità di connettere le speculazioni teoriche ad una pratica architettonica con spiccate caratteristiche di empiricità. ritornare al testo [35] Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, libro IX, capitolo V, op. cit., pag. 814-815. Alberti, in questo e in altri passaggi del testo, identifica il concetto di bellezza con quello di concinnitas, affermando che quest'ultima "abbraccia l'intera vita dell'uomo e le sue leggi; presiede la natura tutta quanta. Giacché, tutto ciò che si manifesta in natura è regolato dalle norme della concinnitas; e la natura non ha tendenza più forte che quella di far sì che i suoi prodotti riescano perfetti". È evidente l'identificazione del concetto di concinnitas con quello più ampio di armonia cosmica (op. cit., pag. 815, in particolare la nota 5). ritornare al testo [36] Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, libro IX, capitolo VI, op. cit., pagg. 824-827. ritornare al testo [37] Infatti solo nel 1558, con il saggio Le Istituzioni Armoniche del veneziano Zarlino (vedi nota 7), viene reintrodotta la scala naturale. Questa scelta, resa possibile nell'ambito di un più generale mutamento del pensiero filosofico e scientifico, sacrifica i significati simbolici tradizionalmente legati alla definizione della scala musicale a vantaggio di una maggiore eufonia, divenuta necessaria col progressivo affermarsi della musica polifonica. Parallelamente ai mutamenti avvenuti nella teoria musicale, anche la trattatistica architettonica, con Palladio, introduce i riscoperti accordi naturali tra proporzioni auspicabili in una corretta progettazione. Per un approfondimento si veda Rudolf Wittkower, op. cit., pag. 128. ritornare al testo [38] Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, libro IX, capitolo V, op. cit., pag. 822. ritornare al testo [39] Rudolf Wittkower, op. cit., pag. 112. ritornare al testo [40] Maria Karvouni, Il Ruolo della Matematica nel "De re aedificatoria" dell'Alberti, in AA. VV., Leon Battista Alberti, a cura di Joseph Rykwert e Anne Engel, Olivetti/Electa, Milano 1994, pagg. 283-284. ritornare al testo [41] Leon Battista Alberti, De re aedificatoria, libro IX, capitolo VI, op. cit., pagg. 826-829. ritornare al testo [42] Leon Battista Alberti, De Componendis Cifris, a cura di Augusto Buonafede, Galimberti tipografi editori, Torino 1994, in particolare a pag. XVIII il curatore ipotizza la conoscenza da parte dell'autore dell'opera di Raimondo Lullo, mistico catalano del XIV secolo, studioso della Cabala e inventore di vere e proprie "macchine combinatorie" atte a dimostrare con prove incontrovertibili la superiorità della fede cristiana. ritornare al testo ABOUT THE AUTHOR
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