Alessandra Capanna, Le Corbusier, Padiglione Philips, Bruxelles. Universale di Architettura. (Torino: Editore: Testo & Immagine, 2000). ISBN: 88-86498-85-3 Recensione di Maurizio Vianello L'Architettura è fatta per durare, e la grande Architettura ancora di più. Questa è forse l'opinione più diffusa riguardo alle creazioni di un'arte che, generalmente, è pensata per affrontare i secoli. Il libro di Alessandra Capanna, dedicato al Padiglione Philips creato da Le Corbusier per l'Esposizione Universale di Bruxelles, ricostruisce la vicenda di un'opera architettonica per la quale il tempo speso per la progettazione fu invece, paradossalmente, maggiore di quello destinato al suo godimento. Un'apparente contraddizione, tipica però di un contesto particolarissimo, in cui l'Autore abituato a costruire "per l'eternità" deve invece quasi programmaticamente essere "effimero". L'idea di "Esposizioni Universale" sembra appartenere a un'altra epoca, in bilico fra un progressismo un po' ingenuo e una "prova di virilità" architettonica francamente imbarazzante. E tuttavia qualcosa è rimasto: oltre alla Torre Eiffel, catapultata direttamente dall'effimero all'eterno, basta citare gli edifici di una Esposizione Universale che non si fece mai: l'EUR di Roma. Dopo di ciò, il pensiero corre subito al più significativo fra i capolavori scomparsi: il padiglione creato da Mies van der Rohe nel 1928 per l'Esposizione di Barcellona, e già demolito nel 1930. Non so se qualcuno abbia mai scritto una "Storia Architettonica delle Esposizioni Universali", ma penso che ne varrebbe la pena. Questo libro di Alessandra Capanna potrebbe degnamente apparire nella lista dei riferimenti bibliografici, perchè probabilmente il Padiglione commissionato nel 1956 dalla Philips a Le Corbusier e realizzato per l'Esposizione del 1958 è stato uno dei grandi e significativi contributi a questo particolarissimo filone architettonico. Il libro si articola in quattro capitoli. Viene dapprima discussa la genesi del progetto, nato dalla mente coraggiosa di Louis Kalff, Art Director della Philips, e subito accettato da Le Corbusier. Lo sviluppo del tema, protrattosi per più di due anni, e la sua progressiva realizzazione attraverso la collaborazione con il poliedrico Ingegnere e musicista Iannis Xenakis sono poi indagati e, in un capitolo centrale, si riserva una attenzione speciale all'analisi della geometria del padiglione, ispirata alle superfici rigate più classiche. A questo proposito è interessante osservare quanto sia difficile separare il contributo di Le Corbusier da quello di Xenakis. La conclusione è dedicata al legame dell'edificio con la musica: il Poème Electronique di Edgard Varèse accompagnava gli spettatori in quello che, argutamente, l'Autrice definisce "uno spettacolo di son et lumière" (si potrebbe anche dire "multimediale"?), attraverso uno spazio modellato su un grande stomaco, un organo digestivo, capace di assorbire ed espellere il pubblico in grandi bocconi, dopo averlo, forse, "trasformato". L'uso di una geometria semplice e pura come quella degli iperboloidi per modellare la "tenda" che ricopriva un'area calpestabile dalla forma così inequivocabilmente organica offre all'Autrice la possibilità di sollevare alcune interessanti questioni sulla corretta collocazione di quest'opera in relazione al percorso creativo di Le Corbusier. Si tratta infatti di una "macchina espositiva", ma una macchina organica e quindi, secondo l'opinione di Alessandra Capanna, di un'opera in qualche modo atipica. Certamente il suggestivo intreccio fra astrattezza matematica e forma biologica che si concretizzò o, potremmo anche dire, si incarnò nel padiglione Philips è fortemente evocativo di altri sviluppi e comunque metaforicamente molto potente. Dal punto di vista storico poteva forse essere opportuno contestualizzare maggiormente la genesi dell'edificio, soprattutto in relazione alla particolare situazione per la quale era stato progettato. L'Autrice ci dice che le superfici sghembe, le volte ondulate e la geometria iperbolica erano figure ricorrenti sulla spianata dell'Heysel, dove era sistemata l'Expo di Bruxelles. A questo proposito mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa di più e forse una parola avrebbe dovuto anche essere spesa sul destino dell'opera di Xenakis e Le Corbusier successivamente al termine dell'Esposizione. Le fotografie del padiglione sono affascinanti e certamente in alcune di esse l'espressività delle superfici usate risalta in modo spettacolare. Una domanda alla quale è però impossibile dare una risposta, e che nonostante tutto ci piace fare, è quella di chiederci quale potesse essere l'esperienza vissuta dagli spettatori (è questa la parola giusta?) nell'attraversare il "grande stomaco". Curiosamente, oltre a guardare le foto impegnando molto la fantasia, la cosa che possiamo fare è quella di rivolgerci alla musica. Grazie a Napster (posso dirlo?) sono riuscito ad ascoltare il "Concret PH" (PH sta per Philips, o anche per Paraboloides Hyperboliques), brano di musica concreta di Xenakis, e il Poème Electronique di Varèse. La mia impressione è che il primo sia rimasto per misteriosi motivi maggiormente vitale e suggestivo. Il libro è agile e compatto e la parte centrale, dove viene analizzata la genesi della forma della grande "tenda", mi è sembrata, pur nella sua complessità, particolarmente interessante anche per chi, come me, si dedica alla didattica della Matematica. Non deve essere stato facile ricostruire le successive intenzioni di Xenakis e Le Corbusier a partire dai pochi elementi rimasti, ma da queste pagine emerge comunque il fascino di una suggestiva interazione fra Matematica e Architettura. FOR FURTHER READING.
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